La terapia delle tre porte
Ci puoi parlare della terapia delle tre porte?
La terapia delle tre porte – possiamo dire che è una terapia di sintesi di tutto il mio approccio psicoterapeutico.
Perché tre porte?
È come dire che i nodi dove ci andiamo ad incastrare sono tre, e cioè, che noi dobbiamo scegliere tra la vita e la morte, tra il bene, il volere fare il bene, e la possibilità di fare errori, tra la ricerca delle benedizioni, cioè che qualcuno dica bene di me, ed evitare le maledizioni. Tra queste tre soglie noi ci giochiamo la nostra reputazione e scateniamo un inferno emotivo.
È il modo in cui non andiamo a giocare su questi tre nodi, che distingue le persone. Quindi noi possiamo avere persone che sono ipocondriache quando cercano iper-soluzioni – aut/aut – sulla vita e sulla morte. Un ipocondriaco, poi di fondo, che cos’è? È uno che vuole vivere ed evitare la morte. E cerca la soluzione radicale, aut/aut.
“Voglio evitare la morte in modo che io possa vivere tranquillo.”
A quel punto che fa?
Accetta della cultura medica il prevenire anziché il curare. E dà la prevalenza al prevenire anziché il curare. Sente un dolorino, e inizia a chiedersi “Che sarà? Se poi, questo, quest’altro, e se poi quell’altra cosa”.
Ora, non tutti noi caschiamo su questi nodi. E questa è già una fortuna, è una possibilità terapeutica. Immaginiamo che sulla porta della vita e della morte noi siamo tranquilli, e cioè, non scateniamo nessun inferno emotivo, non siamo ipocondriaci.
E ci dobbiamo chiedere come mai, non facciamo gli ipocondriaci? E ci accorgiamo stranamente, che se non facciamo gli ipocondriaci, noi cosa diciamo? “Io voglio vivere anche in eterno pur sapendo di morire”.
Come vedi, noi non cerchiamo una ipersoluzione aut-aut. Ora noi su certe porte sappiamo vivere, su altre no. La psicoterapia non deve solo tenere conto soltanto delle situazioni negative, deve tenere conto anche delle situazioni positive, ovvero di quando noi risolviamo i problemi. Se per esempio siamo abilissimi – non scateniamo inferno sulla prima porta, e non scateniamo inferno sulla seconda porta – conoscere è un po’ un riconoscere – se scateniamo inferno sulla terza porta, dobbiamo riprendere le esperienze che facciamo sulle prime due per andare ad affrontare la terza porta. Cioè fare le stesse cose che facciamo sulle prime due.
Le tre porte sono propedeutiche l’una con l’altra o sono completamente separate?
Sono separate come nodo, sono dei valori fondamentali. Cioè, noi diamo delle valutazioni: che la vita che è un bene. Fare le cose buone, fatte per per bene, è un bene, volere che le persone ci applaudano, la fama, è un bene. Il problema è che io voglio la vita ma mi trovo che posso anche morire. Io voglio fare bene, ma mi rendo conto che posso fare anche qualche sciocchezza, e quindi io posso fare il male. Io voglio le benedizioni, ma mi trovo anche sul fatto che qualcuno mi può maledire.
Sulla soglia di queste tre porte c’è l’ignoto. E noi dobbiamo scavalcare proprio quell’ignoto lì. Cioè la nostra tentazione di voltarci indietro, di voler prevenire anziché curare, sta nel fatto che ignoto se io me la cavo o no.
Allora cerco di cavarmela, prima togliendo di mezzo tutti i pericoli, e poi mi ritrovo qui. Cerco di fare bene le cose evitando di farle male, in modo di farle bene, cerco di evitare le maledizioni per avere le benedizioni.
Questa mossa qui, è una super-mossa direi: un tentativo di ottenere con certezza le cose malgrado che tutto è incerto.
Ora, è proprio qui il nodo che scatena l’inferno dentro di noi. Perché la nostra mente sa, che quando devo ripartire perché in fondo il ritmo della vita è fare e pensare, fare e pensare, poi ad un certo punto si interrompe questa cosa debbo consultare la banca dati per ripartire. Nella consultazione della banca dati l’ignoto mi minaccia e naturalmente io voglio andare qui ed avere la garanzia che ci arrivo. Poi alla fin fine tutto il nostro problema, non è il passato, è il tentativo di metterci in cammino con la garanza di arrivare dove volevamo.
La mente non è stupida, sa benissimo che dato che tutto è ignoto, per una logica deduttiva severa, ogni scelta che faccio non è garantita ed è questo che mi terrorizza.
The therapy of the three doors
Can you talk about the therapy of the three doors?
The therapy of the three doors – we can say that such a therapy represents the synthesis of all my psychotherapeutic approach.
Why three doors?
The knots, the existential nodes, where we get stuck are three, namely, that we must choose between life and death, between good – the willingness to do good – and the possibility of making mistakes, between the search for blessings, i.e., to be praised, and the avoidance of criticism. It’s between these three thresholds that our life plays out and we might trigger an emotional hell.
It’s the way in which we interact with these three knots, which makes the difference in people’s lives. We can have individuals who become hypochondriacs when they are seeking hyper-solutions – aut/aut, all or nothing – about issues of life and death. In a nutshell, what kind of person is a hypochondriac? Someone who wants to live and avoid death. And, because of this, he searches for a radical solution, aut/aut.
“I want to avoid death so I can live in peace.”
At this point, what does he do?
He adopts from the medical culture the idea of prevention rather than the cure. He gives precedence to the idea of prevention rather than the cure. He feels a twinge, and begins to wonder “What is that? It could be this thing, that thing, or the other”.
Now, not all of us get stuck on these nodes. And this is already a stroke of luck; it is a therapeutic opportunity. Imagine that on the door of life and death we are calm, that is, we don’t trigger any emotional hell, we are not hypochondriacs.
And we must ask why then, why aren’t we hypochondriacs? And we see that, strangely, if we aren’t hypochondriacs, what do we say to ourselves? “I want to live forever, even though I know I will die.”
As you see, we don’t attempt any hyper-solution here, any aut/aut. Now, on certain doors we might know how to live, on others not. Psychotherapy must not only consider the adverse situations but must also consider the positive outcomes, that is, when we solve the problems. If, for example, we are very skilled, we don’t trigger any hell on the first door, as well as the second – and knowing is form of recognizing – but if we trigger an emotional hell on the third door, we need to reconsider the experiences we had on the previous doors in order to face the third door. That is, to do the same things we do on the first two.
Are the three doors introductory to one other or are completely separate?
They are independent as existential knots; they are fundamental values. That is, we are offering a value judgment: that life is good. Doing things well, really well, is good, being praised is good, popularity is good. The problem here is that, while I desire life I know I can also die. I want to do well, but I realize I can also do some stupid things, and therefore I can do evil. I want blessings, but I am also aware that someone can curse me.
On the threshold of these three doors, there’s the unknown. And the unknown is exactly what we must overcome. That is, our temptation to turn back, to prevent, rather than cure, lies in the fact that I don’t know if I can make it or not.
Consequently, I try to cope with this unknown by removing all dangers and I find myself stuck here. I’m trying to do well, to avoid harm, I try to avoid curses to receive blessings.
This response here, it is overkill, I’d say: an attempt to get things done with certainty despite knowing that everything is uncertain.
Now, right here is the knot that triggers hell inside of us. Since our minds know that the fundamental rythm of life is doing and thinking, doing and thinking, then at some point this rhythm stops and I need to consult my internal database to restart my system. While consulting my database the unknown threatens me and of course I want to go there and have the assurance to reach my goal. Then, in the end the root of our problem, is not the past, it is the attempt to walk our path wanting the assurance to arrive where we want to.
The mind is not stupid; I know very well that, since everything is uncertain, applying strict deductive reasoning I arrive at the conclusion that whatever choice I make, the final result is not guaranteed and it is this is what terrifies me.
(This is an excerpt from an interview to Prof. Amico Colaianni. All rights reserved)
(Edited for clarity)